Domenica 30 Aprile 1995 - Sulle tracce dell'ultimo luparo delle montagne
CAMMINITALIA
Sulle tracce dell'ultimo luparo
Un pastore ci ha detto che a Piaggine, sui monti Alburni, vive l'ultimo «luparo» d'Italia. I «lupari» erano i cercatori di lupi. Andavano a scovarli nelle tane e uccidevano soprattutto i cuccioli indifesi e incapaci di fuggire.
Ma a Piaggine nessuno ha saputo darci ragguagli su questo personaggio. «Il luparo - sosteneva il pastore che abbiamo incontrato sulle montagne della Lucania, fra Lagonegro e Sanza - viveva grazie alle mance portando in giro per i paesi le teste dei lupi che aveva fatto secchi. La gente lo premiava con delle offerte come per un gran benefattore».
Un maresciallo della Forestale di Petina invece, ci ha raccontato che fino a venti anni fa si facevano ancora le battute con decine di cacciatori e di volontari che al suono dei campanacci, stanavano i lupi e li costringevano a fuggire in certi varchi dove erano appostati i migliori tiratori di lupara.
«Il lupo non attacca mai l'uomo. Scappa sempre, atterrito. Non scarnifica la preda ma l'azzanna da dietro strappandole dei bocconi interi di carne, questa - precisano gli esperti di qui - è la sua tecnica di caccia».
Vengono alla mente certe storie di lupi dell'Ossola e del Cusio.
Come quella di Giovanni Borghini, alpigiano di Pieve Vergonte che uccise l'ultimo lupo delle Alpi centro-occidentali. Accadde nel febbraio del 1927 all'Alpe Mazzucher. Una valle da lupi ancora oggi. Come riconoscimento gli affibbiarono il soprannome di «Giuanin del luv».
Parecchie sono poi le «luere» ancora visibili: fosse di varie dimensioni, che mascherate con frasche costituivano le trappole dei iupi.
Sugli Alburni, poco a Sud di Eboli, c'è ancora una coppia di lupi. La mamma con il piccolo è stata osservata anche quest'inverno.
Camminiamo per diversi giorni sotto la pioggia incessante, o affondiamo nella neve marcia del monte Cervati e degli Alburni. Dalla Basilicata siamo passati in Campania attraverso rilievi boscosi solitari e selvaggi. Né rumori né altri segni di vita salvo qualche sperduto pastore rintanato nell'ovile. A uno che ci chiedeva cosa facessimo da quelle parti abbiamo risposto che stavamo attraversando tutta l'Italia a piedi, fino a Trieste. Si è messo a ridere, divertito. Evidentemente ci ha presi per matti.
A Sanza un cippo ricorda che qui cadde Carlo Pisacane. A Fortino una lapide ossequia il passaggio di Garibaldi. Ma i segni della storia «ufficiale» sono pochi. Invece incontriamo continuamente le testimonianze della storia minore: quella legata alla quotidianità dei montanari. A quel mondo di fatica e sudore che unisce, senza grosse differenze, Nord e Sud.
Teresio Valsesia
I lupo non attacca mai l'uomo
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Fonte:
LA STAMPA Archivio Storico dal 1867 - Giornale LA STAMPA, Domenica 30 Aprile 1995