1881 - Di Cosimo De Giorgi(1), dal racconto "DA SALERNO AL CILENTO", viaggio effettuato tra la primavera e l'estate del 1881 e pubblicato a capitoli su vari numeri di "LA RASSEGNA NAZIONALE", noi abbiamo preso in esame il volume X capitolo V dove scrive di Roccadaspide.
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Entrai in Altavilla Silentina sotto una pioggia dirottissima, il 7 maggio 1881, in compagnia del Comm. Gaetano Giuliani di Roccadaspide, che volle gentilmente accompagnarmi.
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Da Altavilla ci dirigemmo, seguendo la strada di Albanella verso Roccadaspide. Fummo salutati per via da una fitta grandinata, e dovemmo tirare avanti perchè lungo la strada non incontrammo nè una casa, nè una capanna per rifugiarci. Alla grandine seguì un acquazzone indiavolato che ci accompagnò fino ad Albanella, e mutò in pochi minuti la via provinciale in un vero torrente. Una grandinata su questi monti e in mezzo a quella solitudine immensa, è qualcosa che atterrisce! Il tuono rumoreggiava tra le gole del monte Soprano e del monte Vesole ricoperti fin quasi alla metà da nuvoli neri e minacciosi. E proseguimmo così per parecchie miglia tagliando campi coltivati a cereali e senza incontrare vestigio umano. Fu una vera delizia!
Stanchi e inzuppati come tante spugne giungemmo finalmente in Roccadaspide verso il tramonto. Il cielo si era già rasserenato e gli ultimi raggi del sole indoravano le mura giallastre e le torri del castello, situato nella parte più elevata del paese, e battevano di sghembo sul monte Vesole che formava lo sfondo del paesaggio. Dopo quella coriandolata lanciataci addosso da Giove Pluvio, lo spettacolo mi sembrò più bello, per la legge dei contrasti; e la simpatica accoglienza in casa dei signori Giuliani valse a rinfrancarmi di tutti i disagi sofferti.
Roccadaspide è uno dei più grossi e dei più importanti paesi della valle del Calore, ed anche dei più belli. La parte nuova dell'abitato si stende ai due lati sulla piazza, lungo la via che conduce a Salerno; è ben aereata, sana, piena di vita e di una gioventù robusta se non avvenente. La domina a tramontana il palazzo principesco dei Filomarino, che ha perduto da un pezzo l'aspetto truce e severo che avea nel secolo XVI.
La parte bassa del paese, nella quale imbocca la via che viene da Controne, è invece orribile, e giustifica il nome serpentino dato al paese. Non potrò mai dimenticare la brutta impressione che provai la prima volta che entrai in Roccadaspide il 4 maggio del 1881. Venivo da Aquara, avevo traversato a guado il Calore, poi le umili colline della sua sponda sinistra tutte vestite di vigneti rigogliosi. Il paese era in alto in cima ad una rupe; e noi salivamo per una via ripida, stretta, chiusa da alti muri e solcata da canali; non pareva di salire sul monte, ma in un traforo di strada ferrata. L'ingresso in Roccadaspide fu anche peggiore; le vie dell'antica Terra della Rocca dell'Aspro (come si diceva questo paese qualche secolo addietro) erano strette, tortuose, con forte pendio, maledettamente acciottolate, abbuiate dai cavalcavia e fiancheggiate da tugurii e da stamberghe, nelle quali non entra mai raggio di sole, e donde escono profumi tutt'altro che graditi. Il paesaggio al di fuori si era trasformato in paesaccio nell'interno. Gli usci erano chiusi e pochi bambini cenciosi correvan su e giù come scoiattoli, biascicando un dialetto incomprensibile. È questa la parte abitata dagli agricoltori, e dalla classe povera dei braccianti e dei contadini. Il peggio si è che questa ascensione non si può fare che sul cavallo di S. Francesco!(2)
Giunto alla piazza, dalla quale parte la via provinciale che mena a Castel S. Lorenzo, mi sentii rifatto; il polmone respirò più largamente, e l'occhio fu rallegrato da una bella scena che si svolse intorno alla fontana che sorge da un lato della piazza. Una schiera di contadine piuttosto bellocce si bisticciavano fra loro parlando colle mani più che colla lingua, e cinguettando un dialetto che avea delle cadenze del napoletano.
Roccadaspide resta a mezza costa dal Monte Vesole, che lo protegge dai soffii rabbiosi del ponente. Nell'altro versante di questo monte s'incontrano i primi paesi del Cilento; ma è difficile valicarlo per mancanza di vie. La valle del Calore, a levante del paese, è ricca di una superba vegetazione la quale renderebbe il decuplo se fosse men trascurata. Principali prodotti agrarii di questo territorio sono: il vino, l'olio, le castagne e i fichi; in seconda linea i cereali e i foraggi, e più in basso nella valle il lino e il granturco.
Il risorgimento di Roccadaspide coincide col passaggio della via provinciale che lo congiunse ad Albanella ed a Salerno. È una via amenissima! Molti gruppi di case vanno sorgendo qua e là nelle campagne, e diverranno col tempo dei casali. Uno è detto Serra per la sua posizione elevata sul dosso del monte Lanucchia; un altro Verna alle falde del Monte Cotruzzo; un terzo la Volpara presso la via summentovata; un quarto Tuoro poco dopo il precedente, alle pendici del Monte Pietra cupa; e i due ultimi Scovotti e Fonda lungo la via comunale che mena a Capaccio. La colonizzazione delle campagne è quindi bene avviata; di qui l'agiatezza maggiore nelle classi agricole, e la poca emigrazione che offre tutti gli anni questo paese. Fui ospitato nel palazzo principesco, che resta sopra una rupe calcarea, e serba ancora all'esterno le antiche forme del castello. Il Comm. Giuliani mi fu compagno carissimo in parecchie escursioni nei dintorni del paese. Alla sua generosa ed efficace iniziativa si devono i miglioramenti che oggi vediamo in Roccadaspide, che ormai è divenuto un centro civile e commerciante. Ha l'ufficio postale e il telegrafico, le sue scuole, le sue opere di beneficenza e i suoi mercati settimanali, nei quali accorrono i proprietarii, i fittuarii e i mezzani di tutti i paesi vicini.
Nel castello vi dimorarono per lungo tempo i Filomarino, quelli stessi che possedevano molti feudi e castelli nella provincia di Lecce.
Visitando un giorno la diruta chiesa del Carmine (che sta un chilometro fuori Roccadaspide, sulla via di Albanella) vi trovai il tumulo marmoreo di Tommaso Filomarino
, uno dei valorosi che si distinsero nella spedizione comandata da Alfonso II di Aragona per riprendere la città di Otranto caduta nelle mani dei Turchi nel 1480. Vi si legge questa iscrizione:
TOMAE FILOMARINO EQVITI CLARISS.
APVD REGES ARAGONEOS
IN HYDRVNTINA CONTRA TVRCAS EXPEDITIONE
MAGISTRO MILITVM
IO. BAPT. F. M. PRIMVS ROCCANOR. COMES
MERITA OB INNVMERA
ATAVO INTEGERRIMO
PUSILLAM HANC EREXIT VRNAM
A. D. M. D. LX. IV. (3)
Sulla lapide vi sono poi scolpiti due angioli che sorreggono un'urna cineraria con una mano, e coll'altra uno scudo che rappresenta tre fasce oblique da sinistra a dritta, divise ciascuna per lungo da tre bande. Bisognerebbe salvarlo dalle intemperie e dalla distruzione, giacchè la chiesa è cadente, e magari trasportarlo nella chiesa di Roccadaspide in memoria del valoroso guerriero che concorse a salvare l'Italia dalla invasione maomettana. Mi raccomando caldamente ai signori Giuliani, ai quali oggi appartiene.
Da Roccadaspide passai a Felitto, sempre costeggiando il versante orientale delle montagne di Magliano Vetere e di Monteforte Cilento.
(1) Cosimo De Giorgi: per saperne di più vai alla pagina dedicata (CLICCA QUI) - La pagina si apre in una nuova scheda.
(2) Andare col cavallo di San Francesco - Andare a piedi. Francesco d’Assisi, poi diventato santo, era un uomo molto ricco di famiglia che si spogliò di tutti i beni. Pur possedendo numerosi cavalli, scelse di “andare a cavallo” solo con un bastone.
(3) A Tommaso Filomarino, Cavaliere illustre presso i Re Aragonesi, maestro dei militi nella spedizione di Otranto contro i Turchi, Giovanni Battista F. M. primo conte di Rocca, per i numerosi meriti del suo integerrimo avo, ha eretto questa piccola urna. Anno del Signore 1564.